Nel viaggio in Repubblica Dominicana dei volontari di Dona Un Sorriso c’è stato un incontro con l’uragano Fiona. Uno dei nostri amici ha pubblicato questo brillante articolo per una rivista di Asti:
Una storia di passione con Fiona
Quando si pensa alle spiagge dei Caraibi non può non venire in mente Paolo Conte con i “ritmi canzoni donne di sogno banane lamponi” decantati dal naufrago di “Onda su Onda”.
Ma non sempre è così, ahimè! E il perchè lo spiegherò a breve.
Mi trovo a metà settembre con cinque amici in Repubblica Dominicana.
Da anni con una Organizzazione di Volontariato di cui sono socio, contribuisco nel mio piccolo a realizzare progetti scolastici destinati a bambini haitiani e alle loro famiglie, accolti malvolentieri da quest’isola matrigna che offre loro nient’ altro che stenti e lavori da svolgere in condizioni disumane.
Per affrontare con la giusta carica la dura realtà che ci attenderà nei prossimi giorni, abbiamo in programma una breve vacanza a Las Galeras, località costiera dove nel suo modesto ma ridente resort di piccoli cottage ci attende la “Cila”, una signora genovese fondatrice con il marito di questo villaggio nato come alternativa intelligente a quel turismo di massa che non sa vivere d’altro che di golf e mojito da mattina a sera.
Dalla corriera osservo estasiato il panorama lussureggiante.
Appena arrivati, ci dirigiamo alla vicina spiaggia, un’icona della più intrigante pubblicità caraibica! Acqua color cobalto, palme, sabbia bianchissima costellata di enormi conchiglie e soprattutto… nessuna persona. C’è un albergo un po’ nascosto, poche case di pescatori, un paio di bagnanti e qualche surfista: la ricostruzione perfetta di “Summer on a solitary beach”, la canzone “cult” di Franco Battiato.
La sera mentre pregustiamo tra noi il piacere che ci aspetta nei prossimi giorni Cila, servendo la cena, puntualizza “sì, va bene, ma…”
C’è sempre un “ma” nella vita che rompe le uova nel paniere: nel nostro caso ha il nome di Fiona, un devastante uragano che dopo, la Guadalupa, ha proseguito la sua “opera” nella vicina Portorico.
Prevedere la traiettoria di un uragano tropicale è come voler indovinare il percorso impazzito di una trottola: un continuo cambiamento di rotta! Le ultime notizie lo danno a meno di cento chilometri da noi, sullo stretto della Mona (sic!) e con intenzioni bellicose. Cila, dopo averci fornito asciugamani e stracci in quantità, ci raccomanda di stare ben chiusi in casa e non fare stupidaggini. Fiona arriverà questa notte e se va bene ci prenderà di striscio…
Sono le tre antelucane, e mi sveglio di colpo con la sensazione di trovarmi nel cestello di una centrifuga. Altro che di striscio! La casa trema fin dalle fondamenta, e se non fosse per il muggito del vento verrebbe da pensare a un terremoto. Dopo pochi minuti salta la corrente elettrica e di conseguenza ogni connessione telefonica. Accendo la pila, ma si è bagnata e non funziona! Attivo la luce del cellulare, ma devo fare attenzione a non scaricare la batteria. Chiamo il mio amico Roberto che condivide, al piano superiore, il cottage. Dall’alto del suo inguaribile ottimismo, dice che non è niente, al massimo si scoperchia il tetto e voliamo nel cielo come gli omini dei quadri di Chagall… Dopo un po’ sento un gocciolio insistente, che aumenta di intensità con il passare dei minuti. Metto i piedi a terra e… accidenti, tutto il pavimento allagato e per più nel buio più pesto. È notte fonda e ho la stanza piena di acqua, il letto è per ora asciutto ma quanto durerà? Mi rannicchio nel mio angolo, l’unico risparmiato da cascate d’acqua che filtrano dappertutto, mentre Fiona mi scuote e mi sbatte ogni tanto fuori dal letto: una scena che se raccontata con queste parole in un altro contesto farebbe schiattare di invidia gli amici e scatenare le ire di mia moglie.
All’alba salgo da Roberto che al piano alto è stato risparmiato dall’acqua. Ci facciamo un po’ di coraggio a vicenda e proviamo a guardare fuori dalla finestra fortunatamente protetta da una grata. Lo spettacolo è impressionante: alberi e pezzi di lamiera che volano, rumori e schianti, e soprattutto un vento che, sapremo poi, avrà raggiunto punte di oltre 200 km/h.
Verso le 15 di colpo tutto si attenua. Dobbiamo spingere con forza la porta per ritrovarci sul patio antistante completamente ingombro di macerie e rami, tra cui striscia impaurito un serpentello verde più morto che vivo trascinato lì dalla tempesta.
Incrociamo quattro ombre: sono i nostri amici, e il pallore delle loro facce è lo specchio del nostro.
Cila ci aspetta nella sua casetta semi allagata, era preoccupata per noi e accogliendoci con un abbraccio ci fa accomodare intorno a una tavola dove fumano alcuni piatti di pasta con un meraviglioso pesto che lei stessa produce e che bisogna per forza consumare a causa del frigo senza elettricità: sarà uno dei pranzi più succulenti della mia vita!
Ma la radiolina a transistor dice che arriverà a breve un’ondata più intensa: la pausa non era altro che l’occhio del ciclone e il seguito viene annunciato “devastante e a forza 3”. Torniamo di corsa in ciò che resta delle nostre casette non senza aver fatto scorta di candele, fiammiferi, acqua e qualche scatoletta di sardine per sopravvivere nelle prossime ore.
Poco oltre le 16 si scatena un vero inferno. Vengono in mente le similitudini omeriche sulla furia di Poseidone, mentre ci aggrappiamo come naufraghi alle sponde del letto domandandoci fino a che punto possano arrivare le forze della natura… Parlo da solo “Fiona basta! Fiona smettila!” Tremo tutto, un po’ per paura un po’ perché non ho più nulla di asciutto da indossare.
Intorno alle 21, come a un preciso segnale, il vento cala, lasciando spazio a una sarabanda di fulmini e tuoni con tanto di pioggia torrenziale di una intensità mai vista.
Ma ormai il peggio pare passato, e al lume di una candela, con i piedi in acqua e i vestiti bagnati, Roberto ed io facciamo fuori cinque o sei sardine, grame da morire ma per l’occasione apprezzate come caviale iraniano. E dopo, pure alcune ore di sonno propiziate da robuste sorsate di rum.
L’alba ci accoglie con un silenzio irreale e con un cielo desolatamente smorto.
Dopo aver scavalcato con fatica alberi sradicati, si va tutti insieme a vedere cosa resta di Las Galeras. Ovunque tralicci distrutti, cavi elettrici sparsi sulla strada, baracche scoperchiate, animali morti, la spiaggia invasa da detriti di ogni genere, mentre davanti a noi l’Oceano ammicca placido ed invitante…
Ci consola la notizia che almeno Fiona non ha fatto vittime, tuttavia i nostri programmi sono stravolti e l’exit strategy diventa la priorità assoluta.
La mattina successiva troveremo un abitante del posto che miracolosamente tirerà fuori una vecchissima corriera capace di condurci, nel giro di un’ora, in quella parte dell’isola dove nessuno si è praticamente accorto di quanto avveniva da noi e dove il nome di Fiona ,al massimo, può evocare l’immagine di una fanciulla criolla dal carattere balzano e forse un po’ troppo passionale.